Quasi sul finire della giornata internazionale della disabilità, anch’io mi fermo a rivolgere un pensiero a questa caratteristica che mi porto dietro dalla nascita e che coinvolge in diversa natura almeno 3,1 milioni di persone in Italia, senza contare parenti e amici vari.
Oggi vorrei pensare alla disabilità come farebbe un’ostrica. detto fra noi, ci saranno anche le ostriche disabili, ma ora non saprei come riconoscerle… Immaginiamo dunque di essere un mollusco avvolto da una durissima corazza che se ne sta tranquillo a farsi accarezzare dalle onde del mare, quand’ecco che ci sentiamo colpire da un qualcosa di fastidioso e improvviso, entrato a trafiggere il nostro morbido interno… Eppure abbiamo una così solida conchiglia a proteggerci, che pareva impossibile tutto ciò. Sarà entrato dalla fessura che abbiamo lasciatoaperta fra le valve, e fatto sta che ora ci ritroviamo con un parassita, un granello di sabbia, un frammento conficcato proprio lì, dove dà maggiore fastidio. Ebbene sì, perché la disabilità dà pure fastidio, oltre che entrare all’improvviso. Possiamo dunque fare finta di niente? no, perché noi siamo ostriche, non esseri umani. Se fossimo umani potremmo ignorare questo avvenimento facendo come se non esistesse, dare la colpa ad altri per averlo messo lì, tentare di liberarcene nei modi più artistici, rimanere intrappolati nel nostro guscio con il nostro dolore o, meglio ancora, potremmo vivere in un mondo in cui avere o no un frammento fastidioso dentro significa essere considerati sfortunati e speciali allo stesso tempo e partecipare alla fiaba del “comunque vada siamo tutti uguali”. Ma no, ricordiamoci che siamo ostriche e che quindi abbiamo a disposizione del carbonato di calcio, che possiamo accumulare strato dopo strato attorno a questo frammento, per renderlo inoffensivo e accettabile per il nostro corpo. Devono passare anni, ok, non è roba da due giorni e, soprattutto, dobbiamo fare i conti che con questa cosa qui ci si rimane per un bel po’… almeno fino a quando non decideremo di aprirci per fare entrare la luce e permettere che altri da fuori apprezzino il nostro lavoro di trasformazione. Quando questo accade, scopriamo che siamo riusciti, con pazienza e la voglia di andare avanti, a trasformare qualcosa di scomodo in una perla, perché siamo ostriche e noi facciamo così con le cose che non ci piacciono: e questaperla è il frutto di una nostra modalità di difesa che ci permette di sopravvivere e trovare il modo di rendere preziosa una situazione sfavorevole.
Il mio pensiero a base di ostriche si ferma qui, mentre le domande me le farò domani. E al prossimo che mi chiederà come mai, anche se non le vedo, mi piacciano le perle, risponderò che per me non sono solo gradevolissime al tatto, ma che di loro apprezzo questa storia che le fa risplendere di significato oltre che di luce.